La voce de La Stampa
La reazione delle associazioni europee di settore, ACEA e CLEPA. In Italia preoccupazione per le ricadute negative sull’occupazione. Giorda (ANFIA): “L'elettrico non è in grado di compensare la perdita di posti di lavoro”
Solo il tempo dirà se il voto di ieri è stato un karakiri per l'industria europea dell'auto o se ha sancito un balzo avanti e un possibile vantaggio competitivo. Con 339 sì, l'assemblea plenaria dell'Europarlamento ha infatti approvato il piano della Commissione per vietare dal 2035 la vendita di veicoli nuovi con motori a combustione (benzina, diesel, gpl e metano, ibridi e plug-in compresi). Il provvedimento esclude i produttori di nicchia sia di auto (tra 1.000 e 10.000 unità l'anno) sia di veicoli commerciali (fino a 22.000), salvando di fatto la Motor Valley, il distretto emiliano dove operano Ferrari (che nel 2021 ha in realtà superato la soglia massima con 11.155 immatricolazioni), Lamborghini, Maserati, Pagani, Dallara e Tazzari. Gli eurodeputati popolari avevano sollecitato una riduzione “solo” del 90% delle emissioni di CO2, ma l'emendamento è stato bocciato e malgrado 249 voti voti contrari e 24 astensioni, è passata la linea della presidente Ursula von der Leyen, peraltro espressione dello stesso Ppe.
La rapida conversione rischia di far lievitare ulteriormente i prezzi della auto, mentre all'Italia potrebbe costare fino a 70.000 posti di lavoro entro i prossimi tre lustri, come era emerso da una ricerca commissionata dalla CLEPA, l'associazione europea dei fornitori dell'automotive. "A oggi l'elettrico non è in grado di compensare la perdita di posti di lavoro, non basta costruire colonnine di ricarica o altri componenti”, ha ammonito Gianmarco Giorda, direttore dell'ANFIA, l'organizzazione italiana che rappresenta la filiera.
Per molti si tratta di un approccio ideologico, ma l'ACEA, il sindacato dei costruttori che operano nel Vecchio Continente, ha scelto una posizione pragmatica. Ha dichiarato di accogliere positivamente la decisione, che almeno indica una strada chiara. Ha spiegato di ritenere già estremamente impegnativi gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati sia per il 2025 sia per il 2030: “Sono raggiungibili solo con una massiccia crescita dell'infrastruttura di ricarica”, ha osservato in una nota. Oliver Zipse, presidente dell'ACEA e anche numero uno di Bmw, ha cercato di essere diplomatico, dopo aver già lanciato l'allarme su possibili nuove forme di “dipendenza” nelle scorse settimane.
“Data la volatilità e l'incertezza che stiamo vivendo quotidianamente a livello globale, qualsiasi regolamentazione a lungo termine che vada oltre questo decennio è prematura”, ha ammonito. Per questo secondo il manager è necessaria una futura “trasparente revisione” degli obiettivi che vadano oltre il 2030. Hildegard Müller, presidente della potente VDA, l'associazione dell'industria automobilistica della Germania, è stata lapidaria: “È troppo presto per fissare questo obiettivo”.
Il problema non sono soltanto la diffusione e la capillarità dell'infrastruttura di ricarica (attualmente concentrata in alcuni paesi dell'Europa settentrionale e occidentale), ma anche la disponibilità di materie prime per la produzione di batterie. L'ACEA chiede l'inserimento dei combustibili alternativi (gli eFuel) nel pacchetto “Fit for 55” varato dalla Commissione Europea.
“Stiamo escludendo la tecnologia ibrida e i carburanti rinnovabili, che sono neutrali per il clima e che possono essere utilizzati con le infrastrutture esistenti e per ridurre le emissioni sui veicoli già in circolazione. Questo rischia di rendere la transizione della mobilità inutilmente impegnativa e persino impossibile per alcune PMI e fornitori di nicchia”, ha tuonato Sigrid de Vries, segretario generale della CLEPA e dal prossimo settembre direttrice dell'ACEA.